Come i Nuovi Media Influenzano la Cultura Partecipativa

PSICOLOGIA, SOCIETÀ DIGITALE

4 Novembre 2025

di Sara Passaro

Come i Nuovi Media Influenzano la Cultura Partecipativa

Un'analisi psicologica dell'impatto delle piattaforme, dalla nascita del prosumer ai nuovi divari partecipativi.

Viviamo in un'epoca di espressione costante. Creiamo post, condividiamo storie, commentiamo video, recensiamo prodotti, modifichiamo voci di enciclopedie. Questa incessante attività ci fa sentire, per la prima volta nella storia dei media, non solo spettatori, ma protagonisti. Questo fenomeno, affascinante e complesso, ha un nome: "Cultura Partecipativa". Ma cosa significa davvero per la nostra psiche e per la nostra società? E, soprattutto, siamo sicuri che questa "partecipazione" sia davvero aperta a tutti e priva di ombre?

La Nascita del "Prosumer": Dalla Passività all'Azione

Per comprendere la rivoluzione che stiamo vivendo, dobbiamo fare un passo indietro. Il termine "cultura partecipativa" è stato coniato da Henry Jenkins, uno dei massimi studiosi dei media. Jenkins lo usa per descrivere un contesto sociale e mediatico radicalmente diverso dalla "cultura mediale tradizionale". Quest'ultima era dominata da un modello di comunicazione unidirezionale: poche, grandi corporation (studi televisivi, case editrici, etichette discografiche) producevano contenuti, e una massa di consumatori li riceveva passivamente. C'era una distinzione netta, quasi invalicabile, tra produttori e pubblico.

L'avvento dei nuovi media ha mandato in frantumi questo modello. Le piattaforme digitali, i blog e i social network hanno abbattuto le barriere all'ingresso. Il costo di produzione e, soprattutto, di distribuzione è crollato. Non serve più un'antenna televisiva per trasmettere; basta uno smartphone. Non serve un contratto editoriale per pubblicare; basta un blog o un account su una piattaforma di social reading.

Questo ha dato vita a una nuova figura psicologica e sociale: il "prosumer" (un termine che fonde "produttore" e "consumatore"). Il prosumer non si limita a fruire, ma è attivamente coinvolto nella produzione, nella condivisione e nella rielaborazione dei contenuti.

"Non siamo più solo pubblico: siamo diventati partecipanti. Questo cambia le regole del gioco, non solo per l'industria dei media, ma per la nostra stessa percezione di chi siamo e di come ci relazioniamo."

Gli esempi di questa trasformazione sono ovunque e definiscono la nostra quotidianità. La scrittura di blog personali, la creazione di video per YouTube o TikTok, la partecipazione a progetti collaborativi monumentali come Wikipedia. Pensiamo anche a fenomeni come la "fan fiction", dove i fan si appropriano di universi narrativi (come Harry Potter o Star Wars) e li espandono, o a piattaforme come Wattpad, un vero e proprio spazio di "social reading" dove autori, spesso giovanissimi, condividono le proprie storie capitolo per capitolo, interagendo in tempo reale con una comunità di lettori che commenta, critica e, a volte, influenza la trama stessa, bypassando i canali dell'editoria tradizionale.

Questa dinamica ha portato all'emergere di ciò che è stato definito "intelligenza collettiva": una forma di conoscenza co-costruita e distribuita orizzontalmente, dove il sapere del singolo contribuisce a un'opera collettiva più grande. Psicologicamente, questo sposta l'asse dalla conoscenza come possesso (detenuta dall'esperto) alla conoscenza come processo (costruita dalla comunità).

Il Doppio Volto della Partecipazione: Creatività e Sfruttamento

Questa nuova era di partecipazione, tuttavia, non è un'utopia priva di ombre. Se da un lato ci sentiamo potenziati, creativi e connessi, dall'altro si cela un risvolto critico fondamentale che, come psicologi e osservatori sociali, non possiamo ignorare.

Il modello di business delle grandi piattaforme digitali (Meta, Google, TikTok, X) si basa interamente su di noi. Il lavoro non retribuito degli utenti – ogni post, ogni foto, ogni commento, ogni "like" – costituisce la materia prima, lo "user-generated content", che attira altri utenti e, soprattutto, che permette a queste aziende di raccogliere una quantità spropositata di dati.

Questi dati vengono poi analizzati, profilati e venduti agli inserzionisti. In sostanza, la nostra partecipazione, la nostra creatività, il nostro bisogno umano di esprimerci e connetterci, viene trasformata in una forma di valore economico che arricchisce un'élite straordinariamente ristretta. Ci troviamo in una tensione psicologica costante: cerchiamo l'autenticità e l'espressione di noi stessi, ma lo facciamo all'interno di un'architettura commerciale che ha come obiettivo primario la nostra monetizzazione.

Come sottolinea David Buckingham nel suo "Manifesto per la Media Education", questa dinamica solleva questioni enormi di trasparenza e controllo. Abbiamo il diritto a una maggiore consapevolezza su come i nostri dati vengono usati. La partecipazione entusiasta, quindi, si scontra con la realtà di un'economia della sorveglianza.

Il Mito dell'Uguaglianza: Perché "Partecipativo" non Significa "per Tutti"

Qui arriviamo al cuore del problema psicologico e sociale più grande. Henry Jenkins stesso sottolinea con forza che l'esistenza di una cultura partecipativa non garantisce automaticamente una partecipazione equa e universale. È un errore comune confondere la disponibilità di uno strumento con la sua accessibilità reale.

Per anni abbiamo parlato di "Digital Divide" (divario digitale), un concetto focalizzato sulla disparità nell'accesso fisico alle tecnologie: chi possedeva un computer e una connessione a Internet e chi no. Oggi, questo concetto è superato, o meglio, si è evoluto in qualcosa di più complesso e subdolo.

Jenkins lo definisce "divario partecipativo" (participation gap), che possiamo inserire nella categoria più ampia del "Knowledge Divide" (divario di conoscenza). La vera discriminante non è più (solo) avere accesso alla tecnologia, ma possedere le competenze culturali, sociali e critiche necessarie per partecipare in modo critico, consapevole e costruttivo.

Questo "gap" non è un singolo burrone, ma un arcipelago di fratture che attraversano la nostra società, creando nuove, profonde forme di disuguaglianza. Analizziamole nel dettaglio, perché ognuna di esse rappresenta un ostacolo psicologico e strutturale alla piena cittadinanza digitale.

1. Il Divario Nord-Sud (La Frattura Globale)

È il divario su scala planetaria. Si basa sulla storica e persistente disuguaglianza economica tra i paesi industrializzati (il "Nord" globale) e quelli in via di sviluppo (il "Sud" globale). I paesi ricchi dispongono di risorse per costruire infrastrutture digitali avanzate (banda larga, 5G), mentre i paesi poveri scontano un ritardo infrastrutturale che sembra incolmabile. La conseguenza è drammatica: mentre la vita economica, sociale e culturale si sposta inesorabilmente online, intere nazioni rischiano un'ulteriore, catastrofica emarginazione, vedendosi precluse le opportunità di sviluppo legate all'economia della conoscenza.

2. Il Divario Economico Interno (La Disuguaglianza in Casa)

Questa logica si applica identica all'interno di una singola, ricca nazione. Le famiglie a basso reddito, anche in Italia o negli Stati Uniti, possono non essere in grado di permettersi una connessione stabile e veloce (spesso un costo fisso mensile non indifferente) o i dispositivi necessari (un PC per ogni figlio studente, ad esempio). La pandemia di COVID-19 ha messo a nudo questa realtà in modo brutale: quando la scuola si è trasformata in Didattica a Distanza (DaD), la linea di demarcazione non era più tra chi "voleva" e chi "non voleva" studiare, ma tra chi poteva e chi non poteva connettersi. Si è creata una forte disuguaglianza di opportunità educative, basata sul censo.

3. Il Divario Urbano-Rurale (I "Chilometri Digitali")

È una forma di divario economico su base geografica. Le aziende di telecomunicazioni, seguendo una logica di profitto, investono massicciamente nelle aree urbane ad alta densità, dove il ritorno economico è assicurato. Le zone rurali, montane o le "aree bianche" vengono spesso lasciate indietro, servite da connessioni lente, inaffidabili o assenti. Questo limita l'accesso a opportunità fondamentali che ormai diamo per scontate, come lo smart working (impedendo alle persone di lavorare da casa), la telemedicina o, di nuovo, la didattica a distanza.

4. Il Divario Generazionale (Immigranti vs. Nativi?)

Questo è il cuore pulsante del "Knowledge Divide", perché non riguarda più l'accesso all'hardware, ma al "software" mentale: le competenze. Per anni abbiamo usato la dicotomia fuorviante di "nativi digitali" (i giovani, cresciuti con la tecnologia) e "immigranti digitali" (gli adulti, che hanno dovuto impararla). La realtà è più complessa: essere "nativi" non significa automaticamente essere competenti in senso critico. Tuttavia, il divario generazionale esiste ed è fonte di profonda esclusione. Gli anziani, ad esempio, non avendo familiarità con le interfacce e le logiche dei nuovi media, rischiano di essere tagliati fuori da servizi essenziali (sanitari, bancari, amministrativi) che vengono progressivamente digitalizzati. Il risultato è una perdita di autonomia e un senso di inadeguatezza psicologicamente logorante.

5. Il Divario Genitori-Figli (Un Gap di Comprensione)

Questo è un caso particolare e psicologicamente delicatissimo di divario di competenze, che si consuma all'interno delle mura domestiche. Spesso i figli ("nativi digitali") possiedono abilità tecniche superiori: sanno come usare le app, navigare sui social, aggirare i filtri. Quello che non possiedono, per ovvie ragioni anagrafiche, è la maturità emotiva e l'esperienza per comprendere appieno i rischi (cyberbullismo, adescamento, privacy, disinformazione). I genitori, al contrario, hanno la maturità e la visione dei rischi, ma non sempre le competenze tecniche per capire gli ambienti online frequentati dai figli (cosa è TikTok? Come funziona Discord?). Questo rende il loro ruolo educativo e di protezione estremamente difficile, creando un vuoto di mediazione che può essere molto pericoloso.

6. Il Divario di Genere (Gender Divide)

Infine, un divario profondamente legato a disuguaglianze strutturali e culturali. Le statistiche, anche in Europa, mostrano che le donne tendono a usare Internet e le tecnologie digitali complesse meno degli uomini. Questo non dipende, ovviamente, da una presunta "incapacità" biologica, ma è il riflesso di disuguaglianze sistemiche. Una minore integrazione nel mondo del lavoro (specialmente in settori STEM) e la persistenza di stereotipi di genere offrono alle donne, statisticamente, minori occasioni per sviluppare e praticare competenze digitali avanzate. Questo crea un circolo vizioso che autoalimenta la disuguaglianza, limitando le opportunità di carriera e di partecipazione pubblica.

Spunto di Riflessione per il Lettore

Fermati un attimo a pensare. In quale di questi divari ti riconosci di più, o quale vedi più spesso nelle persone che ti circondano? Pensi che la scuola e le istituzioni stiano facendo abbastanza per colmare il divario di competenze, specialmente quello tra generazioni? La tecnologia dovrebbe essere un ponte, ma stiamo forse costruendo nuovi muri?

La Nuova Missione: Formare Cittadini Digitali, non Tecnici

Di fronte a questo scenario complesso, l'intervento educativo non è più un'opzione, ma una condizione indispensabile per la sopravvivenza della democrazia e per il benessere psicologico dell'individuo. Se il problema è un "Knowledge Divide", un divario di conoscenza, la soluzione non può che essere educativa.

La scuola e le agenzie educative (famiglia, biblioteche, centri di aggregazione) hanno una nuova, urgentissima missione: colmare il divario partecipativo. L'obiettivo, come emerge chiaramente dai lavori di Celot, Franceschetti e Salamini, non è formare dei "tecnici" (insegnare a usare un software specifico, che tra sei mesi sarà obsoleto), ma formare una cittadinanza digitale attiva, responsabile e critica.

Si tratta di andare oltre l'insegnamento con i media (usare la LIM o il tablet come strumenti) per arrivare a un'educazione ai media (capire come funzionano), nei media (come comportarsi al loro interno) e per i media (come creare contenuti di valore).

Le Nuove Alfabetizzazioni: Gli Strumenti Cognitivi per Vivere Online

Per formare questa cittadinanza, abbiamo bisogno di un nuovo set di "alfabetizzazioni". Henry Jenkins ha identificato un nucleo fondamentale di "nuove alfabetizzazioni mediali" (new media literacies) che non sono tecniche, ma culturali e sociali.

Possiamo raggruppare queste competenze in tre aree fondamentali, come proposto in un modello di sintesi efficace, per capire quali strumenti cognitivi ed emotivi dobbiamo sviluppare.

Area di Competenza L'Obiettivo (La Missione) Competenze Chiave (Jenkins) Analisi Psicologica (Cosa significa in pratica)
1. Saper Leggere i Media (Area della Comprensione) Sviluppare il pensiero critico. Giudizio È l'abilità cognitiva di valutare l'affidabilità e la credibilità delle diverse fonti di informazione. In un'epoca di fake news e post-verità, è una skill di sopravvivenza. Significa non fermarsi al titolo, controllare le fonti, riconoscere i propri bias cognitivi (es. il bias di conferma) e capire che non tutte le opinioni hanno lo stesso peso dei fatti.
2. Saper Scrivere con i Media (Area dell'Accesso e Utilizzo) Diventare produttori consapevoli. Produzione & Performance Non si tratta solo di "saper usare" una app, ma di capire il linguaggio di quel media. Significa appropriarsi dei contenuti mediali esistenti (es. creare un meme, un video-saggio) e produrne di nuovi in modo consapevole, etico e critico, comprendendo l'impatto che le nostre "performance" online (il nostro profilo, la nostra identità digitale) hanno su di noi e sugli altri.
3. Saper Partecipare nei Media (Area della Comunicazione e Partecipazione) Abitare gli spazi digitali in modo civico. Navigazione Transmediale È la capacità di seguire flussi di storie e informazioni attraverso molteplici piattaforme mediatiche. Richiede flessibilità cognitiva, capacità di sintesi e comprensione di come i diversi media (es. un film, un videogioco, un fumetto, un wiki) contribuiscono a costruire un universo narrativo più ampio.
Negoziazione Forse la competenza socialmente più importante. È la capacità di interagire in modo rispettoso ed empatico con comunità che presentano norme, valori e prospettive differenti. Significa saper gestire il disaccordo, evitare la polarizzazione, riconoscere l'altro e non cadere nelle "filter bubble" e nelle "echo chamber" che gli algoritmi ci costruiscono attorno.

Spunto di Riflessione Finale

Guardando questa tabella, fai un onesto bilancio personale. In quale di queste competenze ti senti più forte? E in quale più carente? La nostra società attuale, con la sua tendenza alla polarizzazione e alle "bolle", non dimostra forse un fallimento collettivo proprio nella competenza della "Negoziazione"?

Conclusione: Oltre lo Schermo, una Questione di Cittadinanza

L'influenza dei nuovi media ha reso la cultura partecipativa una realtà ubiqua, complessa e profondamente ambivalente. È un'arena che intreccia straordinarie opportunità di cittadinanza attiva, creatività collettiva e accesso al sapere, con i rischi di un controllo commerciale pervasivo, di una disinformazione dilagante e della creazione di nuove, dolorose, forme di disuguaglianza.

Da un punto di vista psicologico, siamo chiamati a un compito evolutivo: sviluppare un nuovo senso di identità che sia fluido tra online e offline, e nuove competenze per gestire la complessità informativa ed emotiva degli ambienti digitali.

L'intervento educativo, la Media Education, non è quindi un "di cui" o un'ora di informatica. È, forse, la più importante e trasversale sfida educativa del nostro tempo. Non è un'opzione, ma una condizione indispensabile per formare cittadini (giovani e adulti) in grado di navigare consapevolmente in questo nuovo ecosistema, sfruttandone le immense potenzialità e, al contempo, riconoscendo, mitigando e governando i suoi enormi pericoli.

Domanda Focale: Come i nuovi media influenzano le culture partecipative?

NUOVI MEDIA
(influenzano e abilitano la)
CULTURA PARTECIPATIVA
(Definita da H. Jenkins)
(che si manifesta in)
Nascita del PROSUMER
(produttore + consumatore)
Intelligenza Collettiva
(es: Wikipedia, Fan Fiction)
Risvolto Critico
(Lavoro non retribuito)
(ma la partecipazione incontra)
OSTACOLI (Divario Partecipativo)
(basato sulla distinzione tra)
Tecnologia Partecipativa
(Accesso agli Strumenti)
Cultura Partecipativa
(Accesso alle Competenze)
(e si manifesta in)
Globale (Nord/Sud)
(Disuguaglianza economica nazioni)
Economico (Interno)
(Disuguaglianza interna nazione)
Urbano/Rurale
(Divario infrastrutture geografico)
Generazionale
(Divario di competenze, es. anziani)
Genitori/Figli
(Competenze vs Maturità in famiglia)
Genere (Gender Divide)
(Legato a disuguaglianze strutturali)
(che richiede una)
SOLUZIONE (Media Education)
(per sviluppare)
NUOVE ALFABETIZZAZIONI MEDIALI
(che includono, ad esempio:)
Giudizio
Produzione & Performance
Navigazione Transmediale
Negoziazione

Riferimenti bibliografici (basati sui materiali del corso)

  • Jenkins, H. (Documento di riferimento: "Culture partecipative e competenze digitali")
  • Buckingham, D. (Documento di riferimento: "Un manifesto per la media education")
  • Celot, P., Franceschetti, R., Salamini, E. (Documento di riferimento: "EDUCARE AI NUOVI MEDIA")
  • Appunti dal corso di Educazione e Nuovi Media.
  • Riva, G. (Documento di riferimento: "Fake news - Giuseppe Riva")

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